Venezia: un’esperienza che allarga la percezione oltre i limiti dei cinque sensi. Leone d’Oro e d’Argento a Lucinda Childs e Dana Michel
«La danza determina il manifestarsi di un’esperienza, di un essere al mondo» afferma la coreografa canadese Marie Chouinard, direttrice del Settore Danza della Biennale di Venezia per il quadriennio 2017-2020, che intende sovvertire gli schemi mentali e allargare la percezione oltre i limiti dei cinque sensi, fino ad accogliere dimensioni altre, alla riscoperta di libertà, vitalità, bellezza, amore. E si impegna a stupire i passanti in Campo S. Agnese con performance basate su movimenti improvvisi, senza musica, lasciando scaturire la «poesia spontanea del corpo che si dona».
Dieci prime e quattro creazioni originali
La Compagnia di Chouinard è impegnata nell’excursus sulla varietà del camminare “Soft virtuosly, still humid, on the edge”, inserito nel Festival Internazionale di Danza Contemporanea “Firts Chapter” che per nove giorni, dal 23 giugno al 1 luglio 2017, presenta fino a cinque appuntamenti quotidiani, ventisei coreografie di cui nove in prima italiana e una in prima europea, più le creazioni dei giovani della Biennale College.
Il ruggito delle Leonesse d’oro e d’argento
Il Leone d’Oro alla carriera va a Lucinda Childs, pioniera dei concetti di minimalismo astratto e di ripetizione, che inaugura il Festival il 23 giugno al Teatro delle Tese con “Dance” del 1979, in collaborazione con Sol LeWitt e Philip Glass, per la prima volta in abbinamento al film-décor. Seguono “Katema” e “Dance II”, nati come assoli e sviluppati in ensemble.
Il Leone d’Argento per l’innovazione è della performer e coreografa Dana Michel, impegnata nel costante processo di ricreazione della sua autobiografia, fino a connettersi agli altri in un “bricolage post culturale”. Presenta in prima italiana “Yellow Towel”, il 27 giugno, Tese dei Soppalchi.
Un caleidoscopio di nomi e stili
La programmazione prosegue con un trittico del rivoluzionario Alessandro Sciarroni, per la prima volta in Italia; Clara Furey indaga il rapporto tra finzione e realtà; Louise Lecavalier fa rimbalzare e svanire il corpo nello spazio; invece identifica il corpo come cassa di risonanza di emozioni primitive e universali Lisbeth Gruwez; la promessa Ann Van den Broek immerge i performer nell’oscurità tagliata da bagliori e suoni; le radici meticce di Daina Ashbee generano espressioni d’impatto sociale, tra contemporaneità e tradizione; il grande Benoît Lachambre debutta un’azione performativa che muta a seconda dello spazio e degli spettatori; l’esponente dell’anti-coreografia Xavier Le Roy è impegnato in un assolo; il provocatorio Robyn Orlin fa collidere gli stereotipi dei bianchi e dei neri in una sorta di “cabaret politico”; la complicità tra Mathilde Monnier e La Ribot sfocia nel ritratto bifronte di un’unica donna.